AUTISMO 2.0, questo il titolo del convegno svoltosi lo scorso 11 aprile presso la Biblioteca Comunale di Paternò, su iniziativa del neurologo Nunzio Antonio Peci, a cui hanno partecipato tutti i maggiori specialisti del settore in ambito territoriale.

Abbiamo intervistato uno dei relatori, il dott. Antonello Sinatra pediatra e neuropsichiatra infantile, e a lui abbiamo chiesto quale sia il ruolo del pediatra di base nell’ambito della diagnosi precoce dello spettro autistico.
“Il disturbo autistico e i disturbi dello spettro autistico costituiscono la “disabilità sociale” per eccellenza. Sono disturbi secondari a un’alterazione neurobiologica dello sviluppo cerebrale su base genetica e ad altre concause ancora non ben identificate: tossinfettive, metaboliche, ambientali. La sintomatologia è caratterizzata da una disarmonia precoce tra le diverse aree funzionali: motorie, sensoriali, cognitive e comunicativo-linguistiche.
Nell’ottica di un percorso diagnostico precoce, è necessario prestare attenzione al profilo neurocomportamentale fin dai primi sei mesi di vita del bambino, nucleo essenziale dell’interazione e dello scambio emotivo nel rapporto precoce mamma/bambino e premessa per la conoscenza di se stessi e degli altri e per l’acquisizione delle abilità sociali che avverranno.
Diversi studi hanno mostrato che i genitori sono ben presto ‘consapevoli’ della scarsa socialità del loro bambino o della perdita di competenze acquisite.
Poiché questa consapevolezza è comunicata come preoccupazione al pediatra, è importante che quest’ultimo sia pronto ad accogliere la preoccupazione materna e ad esplorarla adeguatamente.
La preoccupazione del genitore è infatti attualmente considerata di per sé un indice di rischio e un buon motivo per una valutazione più approfondita della intersoggettività del bambino.
In questo periodo della vita del bambino il pediatra deve sostenere la competenza genitoriale orientandola alla capacità di osservazione del proprio bambino e alle stimolazioni da offrire nell’ambito delle cure quotidiane.
Se di fronte all’ascolto della preoccupazione genitoriale prende il sopravvento una tecnica di attesa, si viene a creare un gap eccessivo tra il momento in cui i genitori cominciano a preoccuparsi e a sospettare che qualcosa non va nel loro bambino e il momento in cui essi possono essere effettivamente aiutati.
Nelle storie dei bambini con autismo spesso tale gap è lungo uno o due anni e le sue implicazioni riguardano sia il bambino che non può usufruire dei vantaggi dell’intervento precoce sullo sviluppo, sia i genitori che esperiscono una considerevole mole di stress correlato all’essere genitori di un bambino non dialogico, alla incertezza sulla diagnosi e al non avere un aiuto specifico che vada incontro alle loro difficoltà di essere genitori di un bambino spesso incomprensibile.
Sulla base delle attuali conoscenze sull’autismo si ritiene che la diagnosi e il trattamento precoce costituiscano i presidi più efficaci per contrastare lo sviluppo dell’autismo.
Ciò è realizzabile solo attraverso un sistema integrato per lo screening e la diagnosi teso ad accorciare al massimo i tempi tra insorgenza dell’autismo, preoccupazione dei genitori, individuazione del rischio, diagnosi clinica e intervento precoce.
Il perno di tale sistema sono i pediatri di famiglia presso i cui ambulatori nel corso dei regolari bilanci di salute vengono svolte le prime operazioni di screening, attraverso l’ausilio degli strumenti diagnostici più innovativi.
Il periodo dei 18-30 mesi è una “finestra di opportunità” unica rispetto al momento dello sviluppo e della “plasticità cerebrale”. Pertanto è fondamentale la condivisione del percorso diagnostico terapeutico tra specialisti (pediatra e neuropsichiatra infantile) e genitori con una sintonia da sostenere sulla visione e la cura del bambino che ben presto diventerà adulto.”