Catania 20 Aprile 2016 – Un nuovo incontro questa mattina presso l’Istituto professionale Salesiano Don Bosco di Catania dedicato alla prevenzione dell’abuso di alcol tra gli adolescenti. Grazie alla collaborazione di Don Paolo Longo, parroco della Chiesa S. Giovanni Bosco di Ragalna, siamo stati ospiti dell’Istituto professionale catanese per parlare a circa 100 ragazzi del primo anno (tra i 13 e i 16 anni) dei danni causati dall’uso e abuso di alcol nel corpo, nella mente e nel futuro della loro vita.

Relatori della giornata insieme a me, che come di consueto ho introdotto i ragazzi al tema dei danni causati dall’uso di alcol nel sistema cerebrale, anche le psicologhe paternesi Flavia Calì e Cristiana Cunsolo che hanno coinvolto i ragazzini in un gioco di memoria che ha fatto loro comprendere quali sono le reali conoscenze sul tema e quali le informazioni diffuse alla loro giovane età. “Bere alcol non solo non aiuta a raggiungere i vostri obiettivi – hanno spiegato – ma vi rende incapaci di gestire le relazioni con gli altri, rallenta le vostre reazioni, non aiuta a sentirvi parte di un gruppo e non vi consente di apparire più disinibiti agli occhi degli altri. La fuga che cercate è una fuga da voi stessi che non porta da nessuna parte”.

A concludere, l’incontro formativo l’importante presenza dell’ispettore della Polizia Stradale di Catania, Gabriele Ferraro, che con un intervento dal titolo:  

“Legalità e cultura della sicurezza”
 ha spiegato ai ragazzi che le conseguenze dell’abuso di alcol non ricadono solo sulla propria esistenza ma anche (purtroppo) su quello di chi li aspetta a casa”. 

E a tal proposito, l’ispettore Ferraro ha letto in aula una commovente lettera – che di seguito vi ripropongo – con la quale una poliziotta racconta uno dei momenti più drammatici di questo difficile mestiere: comunicare ad un genitore la morte del figlio.  Una lettera che fa capire cosa voglia dire suonare un campanello e, dopo pochi secondi, far crollare la terra sotto i piedi ad una mamma, una moglie, un figlio.

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Lettera di una poliziotta

Ore 7.45 del mattino.

lo e il mio Ispettore suoniamo al campanello. Confìdiamo che lei sappia già. La voce però è serena, assonnata ma serena. Ci apre il portone, e mentre l’ascensore ci porta al terzo piano guardo il pavimento senza riuscire a pensare ad altro: stiamo per cambiare per sempre la vita di una persona, e nel peggiore dei modi. Non è colpa nostra, noi siamo solo tristi emissari, anche questo fa parte del nostro lavoro, ma il nodo allo stomaco resta.

Lei è sulla soglia della porta. Ci guarda con un sorriso di circostanza: due persone in divisa che si presentano a quell’ora devono essere lì per qualcosa che lei ha fatto, anche se non riesce a capire che cosa ..

È il mio Ispettore a parlare: «Buongiorno. Lei è la mamma di. ..’?».

L’espressione cambia sul suo viso, gli occhi si sgranano: ora capisce, suo figlio ha fatto qualcosa, ma niente di irreparabile, vero?

«Signora, suo figlio stanotte ha avuto un incidente stradale».

Ora gli occhi sono terrorizzati, la bocca trema: va bene, un incidente, ma è salvo, vero?

«Signora, mi dispiace…».

Lei ha capito, ma rifiuta. Non ci crede. Poi arriva il dolore. E ti entra attraverso la pelle, nelle vene, nel cuore. E tu non hai nessuno strumento per alleviarlo e, come mai ti era successo prima, ti senti una merda. 

Mentre l’accompagniamo all’obitorio, mi stringe la mano: «Sa, mi vergogno tanto perché sto facendo un pensiero cattivo, ma vede, io ho un padre di 94 anni e … che Dio mi perdoni …» .

E a vederla lì, appoggiata al vetro che la separa dalla persona più importante della sua vita, e gli chiede «Perché?», provateci voi a rimanere impassibili. lo non ce l’ho fatta: sono uscita, ho respirato profondamente, mi sono detta che ciò che provavo era niente in confronto al dolore di quella donna, vedova da pochi mesi e ora orfana dell’unico figlio, ho provato a resistere, ma le lacrime sono scese e ho faticato parecchio a ricacciarle indietro. 

E quando ce ne siamo andati, mi sono sentita sporca, perché io tornavo alla mia bella vita, al mio compagno, alla mia bambina. «Che cosa ci sto a fare al mondo?», mi ha chiesto prima che uscissimo: non sono riuscita a trovare una risposta intelligente. Finché sei solo figlio, non capisci il dolore che puoi dare. 

Quando ero una ragazza, mia madre mi diceva: «Ricordati che. se fai una cazzata e finisci sotto terra, il prezzo più alto lo pagherai tu, perché io sarò viva, tu non ci sarai più». Oggi so che bluffava.

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Qualche immagine dell’incontro di Mercoledì 20 Aprile 2016 presso l’Istituto Don Bosco di Catania